Se dovessimo trovare una metafora per il Nobel che vi racconteremo in questa puntata, sceglieremmo quella dello strappo. Lo strappo tra la rassicurante fisica classica deterministica e le terrificanti rivoluzioni che hanno avuto luogo agli inizi del Novecento; lo strappo con la visione ottocentesca del mondo che avvenne proprio nel 1900, in quel fatidico anno a cavallo tra i due secoli; lo strappo tra sostenitori della visione particellare e antiatomisti, tra filosofi e teorici della fisica e coloro che consideravano soltanto le manifestazioni fenomenologiche come unica vera realtà del mondo.
E tutto questo fu rappresentato da Max Planck, un uomo che questo strappo se lo portava dentro. Conservatore e cauto di indole e di formazione, la sua integrità di fisico lo avrebbe portato a scatenare una delle rivoluzioni scientifiche più destabilizzanti di sempre: quella della fisica quantistica. Nella prima delle due puntate dedicate a lui, ricostruiremo il percorso formativo che portò Planck a interessarsi di un argomento che, all’epoca, la comunità scientifica considerava trascurabile, l’entropia, e a notare come le leggi della fisica deterministica si trovassero a corto di spiegazioni per i fenomeni irreversibili.
La figura di Planck si intreccia a più riprese con quelle di Ludwig Boltzmann e di Ernst Mach, due figure impegnate in una lunga e sfibrante diatriba sulla natura particellare della materia. Planck, inizialmente ostile alla teoria atomica adottata da Boltzmann, si oppone tuttavia all’epistemologia puramente sensoriale di Mach, che pure era particolarmente popolare all’epoca; Planck sostiene piuttosto l’esistenza di un’immagine fisica del mondo esterna a noi che, tramite l’astrazione teorica e l’adozione di un linguaggio svincolato da fattori umani, unifica le varie discipline scientifiche.
Fonti
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